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Polveri infumi: ecco gli ingredienti
Partendo dai processi chimici per il loro ottenimento, troverete a seguire una breve schematizzazione delle principali tipologie di polveri.
Polveri infumi – Chimica e composizione
Il costituente primario delle polveri infumi è la nitrocellulosa. A seconda del grado di nitrazione desiderato si ottengono: al massimo grado di nitrazione, la trinitrocellulosa o fulmicotone (contenuto in azoto tipicamente superiore al 13,35%); al grado di nitrazione medio basso la binitrocellulosa, forma attenuata della precedente, detta anche pirocollodio (titolo azotometrico tipicamente prossimo al 12,60%) o cotone collodio (titolo azotometrico tipicamente prossimo al 12,20%). Le nitrocellulose a titolo di azoto ancora inferiore non trovano impiego come esplosivi.
I nitrocotoni così ottenuti sono esplosivi dirompenti veri e propri, quindi improponibili come polvere da lancio. Le cellulose nitrate hanno però l’interessante proprietà di gelatinizzare sotto l’azione di certi solventi trasformandosi in una massa plastica, compatta e limpida, senza più traccia dell’originaria struttura fibrosa e caratterizzate da una combustione “regolabile”. Più esattamente si ottiene la gelatinizzazione trattando la nitrocellulosa, di qualunque titolo azotometrico, con acetone. Un altro agente gelatinizzante è una miscela di alcool ed etere etilico (in rapporto volumico 1 a 2) che ha però la proprietà di agire solo sul cotone collodio, il fulmicotone risulta infatti insolubile in tale miscela. Quanto descritto costituisce il metodo fondamentale per la separazione della binitrocellulosa (cotone collodio) dalla trinitrocellulosa (fulmicotone).
Le nitrocellulose così gelatinizzate, una volta evaporato il solvente, si trasformano in un esplosivo molto diverso da quello di partenza, cioè perdono l’originaria forza dilaniatrice da esplosivo dirompente e liberano, bruciando, la loro energia in maniera regolare e progressiva, potendo così, dopo semplice lavorazione, venire impiegate come cariche da lancio nelle armi da fuoco.
Polveri a doppia base e a singola base
A seconda del processo di gelatinizzazione adottato, possiamo distinguere quattro tipi principali di propellente: “a solvente incompleto”, ”a solvente completo”, “a solvente fisso” e “a solvente misto”.
Propellente a solvente incompleto: come detto, il nitrocotone può essere gelatinizzato aggiungendo una miscela di alcool ed etere etilico. Quando si sottopone a processo di nitrazione la cellulosa con l’intento di ottenere cotone collodio, a causa della naturale disuniformità del processo di nitrazione, si otterrà anche fulmicotone. In questo caso solo il cotone collodio verrà gelatinizzato, il fulmicotone rimarrà in fibra non trasformata in gelatina. A seconda del processo di nitrazione adottato, potrà essere regolata la quantità di cotone collodio rispetto al fulmicotone, regolando quindi indirettamente anche la velocità di combustione del propellente. Questi esplosivi si indicano come nitrocellulose a gelatinizzazione parziale o a solvente incompleto. Tali propellenti non sono di fatto più usati, la presenza di fulmicotone puro determinava la necessità dell’aggiunta di stabilizzanti, il rendimento balistico era inoltre incostante per la difficoltà di regolare esattamente la percentuale di fulmicotone.
Propellente a solvente completo: si tratta di nitrocellulose totalmente gelatinizzate in genere con acetone che, lo ricordiamo, gelatinizza sia il cotone collodio che il fulmicotone. Hanno eccellenti proprietà balistiche oltre che chimiche e vengono impiegate per la grandissima parte delle polveri per armi da fuoco. Le caratteristiche propulsive vengono determinate variando opportunamente la “profondità” della nitrazione e della conseguente concentrazione di fulmicotone rispetto al collodio. All’impasto si aggiungono coloranti e talvolta, piccole quantità (1÷2%) di nitrati per migliorare la combustione. La pasta viene poi trafilata o laminata per l’ottenimento dei grani dopo essiccamento. Tali polveri vengono dette anche nitrocellulosiche gelatinizzate a solvente volatile su singola base o, monobasiche.
Propellente a solvente fisso: costituiscono una importante categoria degli esplosivi a base di nitrocellulosa, adoperati quasi esclusivamente come polveri da lancio per le armi da fuoco. Per la loro preparazione si parte dal cotone collodio, separato opportunamente dal fulmicotone, collodio gelatinizzato usando in questo caso nitroglicerina (scoperta dall’italiano Ascanio Sobrero nel 1847). All’essiccazione la nitroglicerina, non essendo volatile, resta nel composto. Avremo così la categoria delle nitrocellulosiche gelatinizzate a solvente fìsso ovvero a doppia base o bibasiche. Polveri contenenti il 50% di nitroglicerina vengono definite balistiti e, balistiti a basso titolo quando il tenore nitroglicerinico scende al 42% o, balistite attenuata se scende ulteriormente sino al 25%.
Propellente a solvente misto: contengono oltre al cotone collodio gelatinizzato dalla nitroglicerina, anche una certa parte di fulmicotone insolubile in essa. Per ovviare alle problematiche relative alla gelatinizzazione, simili a quelle degli esplosivi a solvente incompleto, si usa un solvente ausiliario che viene poi fatto evaporare, generalmente acetone. Il solvente ausiliario si usa anche quando il tenore di nitroglicerina deve essere ridotto per un abbassamento della temperatura di deflagrazione, e quindi per una riduzione del potere erosivo della polvere sulle pareti della canna; la quantità di nitroglicerina infatti non basterebbe a gelatinizzare tutto il nitrocotone. La polvere C2, la Cordite e la Solenite appartengono ai propellenti a solvente misto. Le polveri di questo tipo sono completamente gelatinizzate grazie all’ausilio dell’acetone e vengono addizionate a piccole quantità di stabilizzanti come vasellina o bicarbonato di sodio. Vengono usate come polveri da lancio ma le prestazioni balistiche sono inferiori a quelle delle balistiti. Considerando la presenza nel composto di nitroglicerina, esse sono da classificare come bibasiche anche se spesso, per il basso tenore di nitroglicerina (tipicamente prossimo al 10%), vengono identificate come monobasiche modificate.
– Cordite –
Polveri a combustione completa ed incompleta
Le polveri nitrocellulosiche a base singola non contengono nella struttura molecolare ossigeno in quantità sufficiente per la completa trasformazione del carbonio presente, quindi sviluppano meno calore di quanto sarebbe possibile. Le polveri a base singola, sono pertanto definite “a combustione incompleta” ovvero “polveri fredde” (temperatura di deflagrazione tipicamente compresa tra i 2000 ed i 2500°C). La temperatura di esplosione è sempre elevatissima ma sono dette fredde in rapporto alle temperature più elevate erogate dalle polveri a doppia base. Le polveri a singola base sono additivate con composti, quasi sempre appartenenti al gruppo dei nitrati, in grado di fornire l’ossigeno necessario per ottenere una combustione più completa e regolare il livello termico. Nelle polveri a doppia base la nitroglicerina, anche se presente con basso titolo, fornisce ossigeno in eccesso o quanto meno sufficiente affinchè tutto il carbonio venga bruciato; da qui la maggior potenzialità delle polveri a doppia base. Queste polveri pertanto sono dette “a combustione completa” ovvero “polveri calde” (temperatura di deflagrazione tipicamente compresa tra i 3000 ed i 3500°C); essendo più attive, il loro dosaggio è sensibilmente inferiore. E’ chiaro che nel caso di bossoli metallici sia per armi corte che lunghe le polveri a doppia base forniscano superiori prestazioni.
Per quanto detto, molti ritengono che le polveri a singola base lascino dei residui e le polveri a doppia base no; in realtà tutte le polveri lasciano residui, se non altri, almeno quelli dovuti agli additivi o ai trattamenti superficiali dei grani come la grafitazione e simili. Inoltre il residuo di deflagrazione dipende più dalle condizioni operative del propellente che dalle proprietà chimiche intrinseche. Ci riferiamo alla densità di caricamento, al calibro e al peso del proiettile e a tutte quelle variabili che normalmente hanno importanti interazioni con il risultato finale di una ricarica.
Possiamo aggiungere che per le polveri bibasiche, rispetto alle monobasiche, la più alta temperatura di combustione facilita i fenomeni erosivi del tratto iniziale della canna (l’acciaio fonde intorno ai 1500 gradi). Anche gli effetti corrosivi dei residui acidi, attenuati nelle doppie basi moderne, sono più accentuati che nelle monobasiche.
Bibliografia:
Sebastiano Russo – “Esplosivi” – Catania 1999
“Manuale di ricarica Tac Armi” – Milano 1981
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