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I componenti delle munizioni
di Alberto Garofalo
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Il corretto funzionamento di un’arma oltre che da una meccanica affidabile, è garantito anche da munizioni che soddisfano precise caratteristiche sia nei singoli componenti (innesco, bossolo, polvere e palla) sia nel loro assemblaggio. La conoscenza di queste caratteristiche, che non possono essere assolutamente lasciate al caso, consente di ottenere ricariche di maggiore affidabilità e precisione e di comprendere meglio le problematiche relative al ciclo di funzionamento di un’arma. In quest’articolo passeremo in rassegna tutti i componenti delle munizioni a bossolo metallico per canna rigata.
Figura 1 – Parti di una cartuccia.
Come visibile dalla Figura 1, possiamo schematicamente pensare una cartuccia come costituita dalle seguenti parti: innesco e miscela innescante, bossolo, palla e propellente. Esaminiamo uno ad uno questi elementi:
L’INNESCO (↑)
Per le munizioni a bossolo metallico, escludendo gli inneschi per le cartucce a percussione anulare, esistono principalmente due tipologie di innesco per le munizioni a percussione centrale: il Boxer con incudine incorporata, ed il Berdan mancante dell’incudine perché ricavata direttamente nel fondello del bossolo. L’innesco Boxer, certamente il più diffuso, è costituito dai seguenti elementi (schematizzati in Fig.2):
– Coppetta
– Miscela innescante
– Film protettivo
– Incudine
Figura 2 – Costituenti dell’innesco: 1 incudine, 2 coppetta, 3 film protettivo, 4 miscela innescante.
Coppetta e incudine (↑)
Sono costituiti dello stesso materiale del bossolo ma sono solitamente nichelati. La forma dell’incudine è molto importante ai fini della qualità dell’innesco: Un’incudine poco appuntita rende l’innesco poco sensibile, mentre un’incudine troppo appuntita riduce la zona di sensibilità alla percussione; pertanto in quest’ultimo caso potremmo avere mancate accensioni con armi con percussione poco centrata. Lo spessore della coppetta varia a seconda della tipologia dell’innesco come riportato in Tabella 1.
Figura 2a – Innesco small pistol.
L’uso di spessori maggiori si rende necessario per garantire una maggiore resistenza alla pressione ed evitare la perforazione dell’innesco. Per contro, un innesco con lamierino di spessore maggiore richiede una maggiore forza nel percussore e può essere causa di mancate accensioni. Come possiamo osservare dalla Tabella 1 si hanno differenze di spessore tra inneschi da carabina e da pistola e per inneschi large e small. La sensibilità dell’innesco è da attribuire principalmente alle caratteristiche dell’incudine e alla composizione della miscela innescante ed in misura minore alle variazioni di spessore della coppetta ammesse dalle specifiche (vedi Tabella 1).
Uso | Tipo | Potenza | Spessore Coppetta | Diametro | Altezza |
Carabina | Small | Normale | 20,5÷21,0 24,0÷24,5 (militari) |
175 | 115÷125 |
Magnum | 20,5÷21,0 | ||||
Large | Normale | 26,5÷27,0 | 210 | 123÷133 | |
Magnum | |||||
Pistola | Small | Normale | 17,3÷17,8 | 175 | 115÷125 |
Magnum | |||||
Large | Normale | 20,5÷21,0 | 210 | ||
Magnum |
Tabella 1 – Spessore della coppetta in funzione della tipologia di innesco.
(dimensioni espresse in millesimi di pollice o mils)
Miscela innescante (↑)
Le prime miscele innescanti erano costituite solo da fulminato di mercurio che tuttavia già prima del ‘900 venne dismesso dall’uso militare per la sua facilità a decomporsi in climi caldo-umidi dando mancate accensioni. Inoltre il mercurio tende ad amalgamarsi con i componenti dell’ottone indebolendone la struttura metallica. Successivamente si ricorse a miscele di fulminato di mercurio, potassio clorato e solfuro di antimonio (inneschi 8½ G Western) o miscele di potassio clorato, solfuro di antimonio, piombo solfocianato e TNT.
L’uso del clorato, che dopo l’accensione si trasforma in cloruro di potassio, creava problemi di corrosione all’arma specie a causa dell’ambiente acido creato dalla combustione delle polveri. Già dagli anni ’30 gli inneschi a base di fulminato vennero quasi totalmente dismessi e sostituiti da miscele più adatte a ottimizzare le prestazioni delle polveri infumi che, a differenza della polvere nera richiedono un sistema di accensione più complesso. A questo proposito fu fondamentale la scoperta del tetracene, che aggiunto in piccola quantità alla miscela innescante, consentiva di aumentarne la sensibilità all’urto.
In Tabella 2 è riportata la composizione indicativa della miscela innescante e le funzioni di ciascun componente.
Componente | Funzione | Prodotto | Percentuale |
Iniziatore | Innescare la reazione | Stifnato di Piombo | 35 ÷ 45 |
Sensibilizzante | Rendere l’iniziatore più suscettibile all’urto | Tetracene | 2 ÷ 4 |
Ossidante | Fornire ossigeno al combustibile per ottenere un volume apprezzabile di gas incandescente | Piombo o bario Nitrato, Piombo perossido | 5 ÷ 30 |
Combustibile | Mantenere la combustione per un tempo sufficientemente lungo ad avere una buona accensione della polvere | Solfuro di antimonio, Piombo solfocianato, Alluminio | 5 ÷ 20 |
Frizionatore (per rimfire) |
Fornire spigoli vivi all’iniziatore e al sensibilizzante | Polvere di vetro | 7 ÷ 20 |
Leganti | Tenere la miscela in sede | Gomma arabica | 7 ÷ 20 |
Tabella 2 – Prodotti comunemente utilizzati nella miscela innescante e loro funzione.
Il primo anello della catena incendiva è costituito dall’iniziatore, che ha la funzione di innescare la reazione. Tuttavia, questi prodotti sono solitamente poco suscettibili all’urto e richiedono una percussione che molte armi non sono in grado di fornire. L’aggiunta di un sensibilizzante risolve questo inconveniente. Poiché iniziatore e sensibilizzante da soli non sono in grado di fornire un dardo (una fiamma) di sufficiente durata e intensità, viene aggiunto un combustibile che ha la funzione di aumentare la durata della fiamma ed un ossidante che ha la funzione di aumentarne la temperatura. A seconda della percentuale dei vari componenti (in particolare ossidante e combustibile) si ottengono inneschi di diversa potenza quindi adatti a pistola, carabina, cariche magnum, ecc.
I leganti hanno la funzione di tenere compatta la miscela innescante, dato che questa una volta secca perde coesione. Frequentemente vengono aggiunte anche sostanze coloranti per facilitare la verifica visiva della deposizione della miscela nella coppetta.
Negli inneschi leadless l’iniziatore è sostituito dal Diazodibitrofenolo, l’ossidante dal nitrato di stronzio ed il combustibile da nitrocellulosa. Purtroppo essendo questo tipo di inneschi legato a vari brevetti non è possibile avere informazioni dettagliate circa la composizione percentuale.
La miscela viene posta umida nella coppetta, quindi viene aggiunto il film protettivo, che ha la funzione di tenere in sede la miscela ed infine l’incudine. Per questioni di sicurezza gli inneschi sono confezionati ancora umidi.
Aggiungiamo qui di seguito alcuni consigli di prudenza per chi ricarica:
– Tenere sempre gli inneschi nella loro confezione originale. Non stoccare mai gli inneschi in massa !
– Se si usa una pressa automatica e si ricarica un elevato numero di colpi, pulire con cura le parti che hanno contenuto gli inneschi per eliminare ogni eventuale residuo di miscela innescante.
– Conservare gli inneschi in luogo fresco (<38°C) e asciutto.
– L’innesco deve essere inserito leggermente al di sotto del piano del fondello del bossolo, non solo per evitare malfunzionamenti dell’arma, ma soprattutto per evitare l’esplosione accidentale della cartuccia. Se la munizione ha l’innesco sporgente, in un’arma semiautomatica, l’otturatore va ad urtare direttamente sull’innesco durante la fase di cameratura e nel revolver con il rinculo l’innesco delle cartucce non ancora esplose va a urtare contro la parte posteriore del castello.
IL BOSSOLO (↑)
Ha una funzione molto importante nel ciclo di fuoco dell’arma: Con lo sparo deve dilatarsi in modo da fare da tenuta ai gas di sparo (in maniera simile ad una guarnizione) e quando la pressione è calata, deve ritornare a dimensioni tali da facilitarne l’espulsione garantendo un basso attrito con le parti in contatto.
Materiali di fabbricazione (↑)
Il materiale di fabbricazione del bossolo deve avere i seguenti requisiti:
– Basso attrito materiale/camera di cartuccia
– Elevata duttilità
– Elevata elasticità
Sulla base di queste caratteristiche la preferenza per i materiali è la seguente:
1 – ottone
2 – acciaio dolce
3 – alluminio
Ottone: presenta ottime caratteristiche lubrificanti (basso attrito materiale/camera di cartuccia), buona elasticità e duttilità e costituisce pertanto la prima scelta. Per ottenere queste proprietà i componenti della lega, rame e zinco, devono essere dosati nelle giuste percentuali (70% rame e 30% zinco). L’aggiunta di zinco al rame aumenta progressivamente la resistenza, la duttilità e la durezza. Al 30% di zinco, queste proprietà hanno il loro massimo. Oltre il 30 % di zinco la duttilità cala progressivamente. Oltre il 37% di zinco cambia la struttura cristallina del materiale, si passa da un reticolo cubico a facce centrate, a un reticolo cubico a corpo centrato.
Acciaio dolce: all’acciaio dolce (impropriamente chiamato ferro) si è ricorso durante il periodo bellico quando l’ottone veniva utilizzato per altri scopi. La principale problematica di questo materiale è il coefficiente di attrito che è più alto del 60 % circa rispetto a quello dell’ottone. Il bossolo di ferro ha pertanto tendenza a bloccarsi in camera di scoppio; fenomeno abbastanza frequente con i .45 ACP della seconda guerra mondiale. A questo inconveniente si è cercato di rimediare, in alcuni casi utilizzando camere di scoppio “fluted” per le armi lunghe ma più generalmente applicando sui bossoli prodotti in grado di ridurre l’attrito (es. vernici, lacche ecc.).
Alluminio: viene utilizzato per la produzione di munizioni economiche. In teoria, l’uso dell’alluminio potrebbe sembrare vantaggioso: costa meno dell’ottone, ha una resa maggiore (con uno scarto stimato del 40% da una libbra di ottone si possono ottenere circa 50 bossoli di .38 special, mentre da una libbra di alluminio se ne ottengono circa 250 praticamente senza scarto) ed è più facile da lavorare. Il bossolo di alluminio può infatti essere formato per estrusione e successivamente rifinito con il trimmaggio alla lunghezza corretta, realizzazione del foro di vampa ecc. mentre per l’ottone sono necessarie molti più passaggi tra cui varie operazioni di ricottura. Il costo di realizzazione di un bossolo di alluminio è indicativamente più basso del 50% di quello di un bossolo di ottone. Per contro l’alluminio ha una durezza molto bassa, un coefficiente di attrito elevato e una elevata tendenza a restare deformato dopo lo sparo. La scarsa elasticità del materiale rende i bossoli in alluminio poco adatti alla ricarica. ll bossolo in alluminio richiede anch’esso una lubrificazione per poter fornire una alimentazione affidabile.
Caratteristiche del bossolo (↑)
Il bossolo oltre che rispondere a precise specifiche dimensionali, deve rispondere anche a precise specifiche di durezza (ricordiamo che per durezza si intende la resistenza alla scalfittura) che deve essere diversa a seconda delle varie zone del bossolo. Un esempio di andamento della durezza in funzione della lunghezza del bossolo è riportato in Figura 3. Come possiamo osservare, questa deve essere minima in prossimità del colletto e della spalla per impedire rotture durante lo sparo. La riduzione della durezza in queste zone viene ottenuta tramite “ricottura”. In passato la ricottura veniva fatta a fiamma eliminando poi le tracce di ossidazione tramite lavaggio con acidi (nei bossoli per uso militare questo trattamento essendo solo “estetico” spesso non viene effettuato) mentre oggi la ricottura viene più frequentemente realizzata per riscaldamento tramite corrente indotta.
Figura 3 – Andamento qualitativo della durezza secondo le varie zone del bossolo.
Parti di particolare importanza del bossolo sono lo spessore in prossimità del foro di vampa, detto anche “ponte”, la zona in prossimità del fondello e l’angolo della spalla per i bossoli a bottiglia. Lo spessore del “ponte” che riguarda soltanto le specifiche, se è troppo sottile può non sostenere l’impatto del percussore (con quello che ne consegue), se troppo spesso la realizzazione del foro di vampa può risultare troppo laboriosa. Un valore ragionevole è uno spessore compreso tra 0,055÷0,060 pollici.
La zona in prossimità del fondello (indicativamente a circa 6,4 mm da esso) è la parte del bossolo che per usura o affaticamento tende a fratturasi, essa va pertanto attentamente ispezionata prima di effettuare una ricarica verificando l’assenza di rigonfiamenti. Ulteriori dettagli sono riportati in Figura 4.
Figura 4 – La parte a 6,4 mm circa dalla base del fondello è importante poiché consente di valutare lo stato di usura del bossolo. Bossoli che presentano un significativo rigonfiamento in questa zona non vanno assolutamente ricaricati per evitare rischi di fratture.
L’angolo di spalla nei bossoli a bottiglia è determinate per la precisione. Oltre ad essere specifico del calibro varia (anche se di poco) a seconda dell’arma e del bossolo per uno stesso calibro. L’effetto sulla precisione viene avvertito soprattutto quando l’angolo di spalla regola l’head space (spazio di testa).
Nella produzione di bossoli rimfire (percussione anulare), se da un lato si richiede una lavorazione meno laboriosa, dato che i bossoli possono anche essere formati anche con un solo passaggio (punzonatura e ricottura) o al massimo due, dall’altro per ottenere bossoli di buona qualità sono richieste strisce di ottone con spessore molto uniforme (ammessa una tolleranza di 0,0008 pollici e di 0,0005 pollici per i bossoli da gara) ed ottone 70/30 con percentuale costante per garantire l’uniformità dimensionale della struttura cristallina del metallo. Infatti trattandosi generalmente di bossoli di piccole dimensioni, ci si trova ad avere inevitabilmente delle tolleranze dimensionali molto ristrette.
La zona del fondello forma inoltre un angolo praticamente di 90° con il corpo del bossolo. Se il bossolo non è stato realizzato correttamente (es. spessore troppo sottile nella parte di congiunzione tra corpo e fondello) utilizzando materiali non uniformi, è facile che in questa zona si creino dei punti più deboli e si verifichino fratture allo sparo. Lo spessore del fondello dei bossoli rimfire è molto importante, dato che nella maggior parte dei casi da esso dipende anche l‘head space e quindi anche potenzialmente la precisione. Valori ottimali di spessore per il .22 LR sono tra 0,039 e 0,042 pollici. Volendo selezionare delle munizioni cal.22 è buona pratica verificare l’uniformità di questo spessore.
LE POLVERI (↑)
Data la vastità dell’argomento, daremo soltanto una panoramica generale. Ci soffermeremo maggiormente su alcuni concetti spesso non trattati ma di particolare interesse per il ricaricatore quali i fattori che influenzano il processo combustivo e le prestazioni delle polveri.
Cenni sulla preparazione (↑)
La materia prima di partenza è costituita dalla cellulosa. Questa per i nostri scopi è assimilabile a un substrato sul quale sono presenti dei gruppi OH (ossigeno e idrogeno). Per ottenere la nitrocellulosa, un certo numero di questi gruppi OH viene sostituito con gruppi nitrici (ONO2) tramite nitrazione, trattando cioè la cellulosa con miscela solfonitrica (miscela di acido nitrico e solforico). La formula di struttura del prodotto che si ottiene è illustrata in Fig.5. Restano tuttavia sempre dei gruppi OH residui dato che per questioni di costo o tipo di prodotto desiderato la reazione non viene quasi mai spinta sino a completezza. Maggiore è la quantità di gruppi nitrici, maggiore è il titolo di azoto della nitrocellusa e maggiori sono le sue proprietà esplosive. Il titolo di azoto influenza anche la solubilità della nitrocellulosa nei solventi organici, fattore molto importante per l’operazione di gelatinizzazione. Un quadro riassuntivo è riportato in Tabella 3.
Figura 5 – Formula di struttura della nitrocellulosa. La formula di struttura fa riferimento ad una nitrocellulosa in cui tutti i gruppi OH sono stati sostituiti con gruppo ONO2.
Tipo | Contenuto Azoto (%) | Solvente tipico | Note |
Basso titolo di azoto | 10,7 ÷ 11,2 | Alcool etilico | Non adatta per i propellenti |
Cotone collodio | 11,2 ÷ 11,7 | Miscuglio alcool/etere etilico (1:3) | |
Fulmicotone | 12,5 ÷ 13,5 | Acetone |
Tabella 3 – Principali caratteristiche della nitrocellulose. Il limite massimo teorico del titolo di azoto (sostituzione di tutti i gruppo OH) è del 14% circa.
Dopo la nitrazione seguono il lavaggio con acqua per eliminare ogni residuo di acidità e la fase di polpatura (sminuzzamento). Inizia poi la fase di gelatinizzazione dove tramite l’aggiunta di un solvente opportuno (tra cui la nitroglicerina per le polveri a doppia base) si ottiene una massa viscosa che può essere lavorata (estrusione, laminazione, granulazione ecc.) per ottenere polveri della forma desiderata. In questa fase vengono solitamente aggiunti vari additivi quali coloranti e stabilizzanti. Scompare la natura fibrosa del prodotto. I trattamenti superficiali completano il processo. Tra questi ricordiamo la grafitatura, che consente di aumentare la scorrevolezza della polvere riducendo inoltre l’accumulo di elettricità statica, trattamenti di impermeabilizzazione (es. tramite laccatura) e trattamenti di flemmatizzazione per rallentare la velocità di combustione della polvere nella fase iniziale rendendola così più progressiva.
Diversa procedura viene utilizzata per la preparazione delle ball powder (o polveri sferoidali), dato che questo processo era stato inizialmente sviluppato dalla Winchester per riutilizzare polveri deteriorate dall’invecchiamento. Il processo consisteva originariamente nell’immettere la nitrocellulosa in acqua sotto forma di lacca (di solito sciolta in acetato di etile o altro solvente opportuno) e sotto agitazione in modo da formare piccole gocce in sospensione. Con questa procedura venivano allontanate anche le impurezze di degradazione. Il solvente utilizzato per formare la lacca veniva poi eliminato mediante graduale innalzamento della temperatura. Il risultato finale erano delle piccole sfere di dimensioni variabili a seconda dell’agitazione ed aventi alta densità. Nelle fasi successive della lavorazione venivano aggiunti vari additivi e la nitroglicerina. Per ottimizzare il processo di combustione in taluni casi le sfere possono venire anche appiattite. Si parla in questo caso di flattened ball powder (polveri sferoidali appiattite). Per maggiori dettagli si veda anche l’articolo: “Le Ball powder”.
Classificazione e caratteristiche delle polveri (↑)
Le polveri possono essere classificate a seconda della modalità di gelatinizzazione, si veda a questo proposito l’articolo: “Polveri infumi: Ecco gli ingredienti”, o dalla forma dei granuli che riportiamo qui di seguito.
– Lamellari
– Granulari
– Discoidali
– Tubolari (forate e non)
– Sferoidali
– Sferoidali appiattite
Il grado di progressività delle polveri può essere realizzato o tramite trattamento superficiale (flemmatizzazione), aggiungendo sulla superficie della polvere prodotti in grado di rallentare la combustione iniziale o tramite opportuna forma del granulo. Ad esempio nel caso delle polveri tubolari forate, la superficie esterna con la combustione tende a ridursi, riducendo l’emissione di gas man mano che la combustione procede. La superficie interna invece, tende ad aumentare col procedere della combustione, aumentando l’emissione di gas. Regolando le dimensioni delle due superfici si riesce a regolare la progressività della polvere. Tutte le altre forme in uso per le armi portatili sono di tipo regressivo e quindi si deve ricorrere ai flemmatizzanti per un controllo della progressività (si veda anche l’articolo: “Polveri infumi: la forma è sostanza”). Le polveri lamellari presentano abbastanza frequentemente problemi di dosabilità.
Figura 6 – Esempio di controllo della velocità di combustione.
Il processo combustivo (↑)
Quando la polvere brucia, possiamo distinguere tre zone sui grani: il substrato, costituito dal granulo di polvere che brucia, uno strato di gas ed infine la fiamma. Se la polvere brucia a temperatura ambiente lo strato di gas è abbastanza elevato e la fiamma è sufficientemente lontana dal substrato che di conseguenza non viene eccessivamente riscaldato. Quando ci si trova in un ambiente confinato, con il crescere della pressione, lo strato di gas tende a diminuire e di conseguenza la fiamma si avvicina maggiormente al substrato surriscaldandolo e facendo aumentare la velocità di combustione e di conseguenza l’emissione di gas. La velocità di combustione di una polvere è in prima approssimazione proporzionale alla pressione (prima legge della pirostatica). Questo processo è la chiave di volta di tutta la balistica interna.
Stabilità delle polveri (↑)
Le nitrocellulose sono soggette a un “invecchiamento” che comporta la formazione di prodotti di degradazione di natura acida. Questi prodotti aumentano la velocità di deterioramento, che con l’aumentare della loro concentrazione diventa sempre più elevata (reazione auto catalitica) sino a determinare potenziali pericoli di accensione spontanea. Per questo motivo sono stati sviluppati vari test per valutare lo stato di conservazione delle nitrocellulose. Per rallentare la degradazione, alle polveri vengono aggiunti degli stabilizzanti (solitamente di natura basica) quali difenilammina, canfora ecc. che bloccano la formazione dei prodotti di natura acida. Tuttavia, anche se sono presenti gli stabilizzanti, l’esposizione eccessiva delle polveri a umidità, calore e luce deve essere sempre evitata, dato che se una reazione esplosiva è certamente improbabile, non sono invece improbabili fenomeni degradativi che possono portare ad un calo significativo delle prestazioni a causa del calo del contenuto del titolo di azoto dovuto alla degradazione.
Fattori che influenzano le prestazioni delle polveri (↑)
La presenza di gruppi polari quali i gruppi OH residui ed i gruppi ONO2, rende le nitrocellulose igroscopiche. Questo effetto può essere attenuato dai vari trattamenti, ma resta comunque una tendenza delle polveri alla nitrocellulosa. Poiché l’acqua ha un elevato calore latente di vaporizzazione (vedi Tabella 4) questa, quando evapora, crea un consistente assorbimento di calore. Nel caso delle polveri (e dei combustibili in genere), l’effetto che ne deriva è un elevato “raffreddamento” della fiamma con conseguente calo delle prestazioni della polvere anche per assorbimento di piccole quantità di umidità. Le moderne polveri contengono umidità in quantità solitamente inferiore all’1,2 ÷1,3 %.
Prodotto | Calore di vaporizzazione (Kj/Kg) |
Acqua | 2272 |
Alcool Etilico | 855 |
Toluene | 351 |
Tabella 4 – Calori di vaporizzazione di alcune sostanze a confronto con il calore di vaporizzazione dell’acqua.
A titolo di esempio, riportiamo in Tabella 5 l’effetto dell’umidità su una polvere da caccia:
Umidità (%) | Velocità (m/s) | Differenza (m/s) |
0,4 | 384 | – |
1,5 | 330 | -14 |
Tabella 5 – Effetto dell’umidità su una polvere da caccia.
Un altro fattore è la temperatura di utilizzo della munizione. L’effetto dipende molto dalla natura della polvere (le prestazioni delle vecchie polveri erano maggiormente influenzate dalla temperatura), quello che è certo è che ad un aumento della temperatura corrisponde un aumento, più o meno marcato, della velocità e della pressione e viceversa. Hatcher per il .30-06 ed il propellente in uso, riporta una variazione di velocità tra 1,66 piedi/sec e 1,83 piedi/sec per grado Farenheit a seconda dell’intervallo di temperatura considerato. Riportiamo in Tabella 6 un ulteriore esempio. I dati sono stati convertiti da misure anglosassoni.
Gradi (°C) | Velocità (m/s) | Differenza (m/s) |
-7 | 522 | – |
22 | 546 | 24 |
58 | 555 | 33 |
Tabella 6 – Effetto della temperatura sulle prestazioni di una munizione. I dati si riferiscono ad una munizione in .44 magnum sparata in carabina.
IL PROIETTILE (↑)
Palle in piombo (↑)
Il piombo risulta eccessivamente tenero e fatta eccezione per munzioni di tipo dual-core dove è richiesto che la parte anteriore di piombo si espanda rapidamente, esso non viene utilizzato se non in lega. L’indurimento del piombo viene ottenuto aggiungendo antimonio in quantità dall’1 al 5%. Risultati accettabili si ottengono intorno all’1,5%. Le palle per il .22LR e simili, contengono una quantità minore di antimonio che si aggira tra lo 0,75% ed il 2% (ordinariamente 1,6÷1,7%). Un’alternativa all’antimonio è costituita dallo stagno, che tuttavia risulta poco vantaggiosa, in considerazione del maggior costo e della maggiore quantità di stagno richiesta. Sono stati effettuati anche alcuni tentativi con lo zinco, ma con scarsi risultati. La lega utilizzata per i proiettili non rivestiti realizzati per fusione è normalmente di tipo ternario: Piombo, Antimonio e Stagno in percentuale variabile e tipicamente prossima, nell’ordine, a 91/6/3%.
Le palle destinate alle munizioni commerciali spesso non vengono prodotte per fusione. Più frequentemente vengono realizzate per estrusione che può essere effettuata sia a caldo che a freddo. La prima ha il vantaggio di richiedere una pressione minore. L’operazione viene effettuata utilizzando una pressa idraulica. Quello che si ottiene è un tondino di piombo di opportune dimensioni che solitamente contiene il 3 o 4% di antimonio. Una volta formato il tondino, esso può essere lavorato per stampaggio.
Ottenuto il proiettile, segue poi l’aggiunta di un lubrificante superficiale per limitare la deposizione di piombo all’interno della canna allo sparo. I lubrificanti più comunemente utilizzati sono olii o grassi talvolta uniti a grafite. La lubrificazione può essere effettuata sfruttando i solchi di grassaggio (lubrificazione di tipo interna), come avviene per le palle di tipo cast, o più frequentemente per le palle commerciali, tramite applicazione superficiale, eventualmente sciogliendo il grasso in opportuni solventi che vengono poi fatti evaporare. Seguono poi i controlli dimensionali e ponderali.
Per il .22LR la variazione di peso ammessa è di 0,2grs per le munizioni ordinarie e 0,1grs per le munizioni di tipo match). La variazione di diametro dovrebbe essere contenuta nel range ± 0,0002 ÷ 0,0003 pollici (0,005÷0,008 mm) rispetto al nominale.
Qualora debba essere depositato del metallo sul proiettile (solitamente rame o ottone elettrolitico), quest’ultimo dovrà essere formato con un diametro diminuito di una quantità pari allo spessore del metallo che si intende deporre. Lo spessore più comunemente utilizzato è 120µm.
Le palle in piombo sono impiegabili fino a velocità di circa 350m/s o 500m/s se provviste di gas check. Per velocità più elevate è richiesto l’uso di palle blindate o ramate, pena una elevata deposizione di piombo nella canna ed un forte incremento della pressione a causa del maggiore attrito. Il grado di trafilatura delle palle in piombo è solitamente maggiore di circa 1/1000 di pollice rispetto alle palle incamiciate.
Palle incamiciate (blindate) (↑)
Sono solitamente costituite da un nucleo di piombo e da una mantellatura di materiale vario. Il piombo del nucleo contiene solitamente antimonio fino al 2%, mentre la mantellatura nella maggior parte dei casi è costituita o da bronzo 90/10 (lega rame/stagno), gilding 95/5 (ottone con 95% di rame e 5% di zinco) o tombacco (ottone con 80% di rame e 20% di zinco). Il bronzo 90/10 è più resistente del gilding 95/5, e consente di usare un mantello di minore spessore. Per le munizioni per arma corta (in particolare il 9 para militare) viene utilizzato in Italia l’ottone giallo (rame al 73%). L’incamiciatura viene formata con una procedura analoga a quella utilizzata per la formazione del bossolo, partendo cioè da un disco di materiale e arrivando alla forma finale tramite una serie di trattamenti di imbutitura e successiva ricottura. Il pezzo viene poi “trimmato” alla lunghezza corretta. Il nucleo di piombo viene preformato per stampaggio. Per la mantellatura dei proiettili si usano anche lamierini di acciaio extra dolce (a baso contenuto di carbonio) generalmente placcati in rame o con altri metalli tali da migliorare la resistenza all’ossidazione.
Una buona pratica è quella di utilizzare un nucleo di forma cilindrica che viene poi portato alla forma finale con l’assemblaggio, in questo modo vengono semplificate le operazioni di assemblaggio dato che il nucleo può essere inserito nell’incamiciatura senza un verso specifico. Se il nucleo viene saldato metallurgicamente al mantello le ogive vengono definite “bonded”. Un fattore molto importante è l’assenza di residui di materiale estraneo quali residui di lubrificanti, dato che con lo sparo questi a seguito del surriscaldamento vaporizzano, creando degli spazi tra mantello e nucleo con conseguente ripercussione sulla precisione. E’ importante anche l’uniformità di spessore del mantello.
Quando si utilizzano palle incamiciate si deve tenere presente che alcuni calibri pur essendo nominalmente uguali hanno in realtà diametri diversi (es. 9-Makarov e 9-corto; 7,62×39 e .308 Winchester). Questo, oltre che essere determinante per la precisione, può avere significativi effetti sull’incremento della pressione e sul buon funzionamento dell’arma.
Speriamo che questa panoramica sui componenti costituenti le munizioni sia di interesse e soprattutto, utile per poter scorgere quanta tecnologia ed evoluzione scientifica ci sia dietro il processo produttivo di ogni singola cartuccia.
Bibliografia:
Handloader’s Digest 1996 15th Edition
George E. Frost – “Ammunition Making” National Rifle Association
John Withers – “Precision Handloading”
Rudolf Meyer – “Explosives” Third Edition VCH
J.S. Hatcher – “Hatcher’s Notebook”
Antonio Granelli – “La cartuccia a pallini”
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la descrizione degli articoli fatti molto bene,e molto interessanti;per tutti coloro che sono entrati a far parte del mondo della ricarica,e non…fanno sempre parte di un apprendimento generale sulla cultura del mondo delle armi,e di chi vuole ogni giorno tenersi sempre aggiornato….
Complimenti per l’articolo, molto dettagliato e di facile comprensione anche per i neofiti, una piccola domanda, ci sarà mai un articolo sulle munizioni non convenzionali e le armor piercing?
Ciao Guglielma,
grazie per i complimenti, terremo in considerazione la tua richiesta. Nel contempo, al fine di ottenere informazioni teoriche di base sulla penetrazione dei proiettili, puoi dare uno sguardo a questo nostro articolo: https://armiestrumenti.com/blog/2011/02/28/elementi-di-balistica-terminale/
Ottimo articolo 😉
Sono un profano ma capisco che l’Articolo contiene specifiche tecniche molto dettagliate, per cui COMPLIMENTI.
Scusatemi una domanda a cui da completo profano non trovo adeguata risposta.
NEL BOSSOLO DI UNA MUNIZIONE C’E’ ARIA ?
Cioè per bruciare, la polvere ha bisogno di aria che contiene Ossigeno (comburente) oppure brucia e produce Gas senza Aria ?
Avrei bisogno di una risposta precisa e definitiva… RINGRAZIO
Ciao Antonio, la polvere propellente brucia autonomamente contenendo sia carburante che comburente, essa non necessita dell’aria atmosferica.
Salve, chiedo una informazione. Se l’antimonio non fosse presente nella composizione della polvere da sparo ma fosse presente nel proiettile, con lo sparo, si andrebbero a depositare piccole particelle di esso sull’arma??????
Grazie e buona giornata
Buongiorno, vorrei chiedere una cosa: nelle tabelle di caricamento sono riportati soltanto alcuni tipi di palla e mi è capitato che anche partendo con la dose minima consigliata, rispettando la lunghezza massima della cartuccia finita che la palla appoggiasse leggermente sulla polvere. Che io sappia non va bene, me lo confermate ?
C’è una regola di partenza da seguire quando si cambia tipo di palla mantenendo lo stesso peso per la dose della polvere e la lunghezza totale ?
Grazie